L'Universo nell'Ultravioletto: esplorare il cosmo oltre il visibile
La radiazione ultravioletta
Conosciamo i dettagli di questa banda: definizione, posizione nello spettro e assorbimento nell'atmosfera terrestre
La radiazione ultravioletta (UV) è una forma di luce non visibile all'occhio umano, situata nello spettro elettromagnetico tra la luce visibile e i raggi X. Si estende indicativamente tra i 10 e i 400 nanometri di lunghezza d'onda, corrispondenti a energie comprese tra 30 PHz (Petahertz) e 770 THz ed è suddivisa in tre fasce principali:
- UV vicino (NUV, 400-200 nm): il meno energetico, più prossimo alla luce visibile.
- UV lontano (FUV, 200-100 nm): più energetico, utile per lo studio del mezzo interstellare.
- UV estremo (EUV, 100-10 nm): altamente energetico, con caratteristiche simili ai raggi X molli.
Uno degli aspetti fondamentali della radiazione ultravioletta è il suo forte assorbimento nell'atmosfera terrestre. Lo strato di ozono nella stratosfera è il principale responsabile dell'assorbimento della radiazione UV, particolarmente efficace tra i 200 e i 300 nm (UV-C e parte dell’UV-B), proteggendo così la superficie terrestre dalle radiazioni più dannose.
Tuttavia, l’assorbimento atmosferico non è uniforme lungo tutto lo spettro UV. Esistono alcune finestre di trasparenza, seppur parziali, che permettono il passaggio di specifiche lunghezze d'onda:
- UV-A (320-400 nm): noto anche come ultravioletto vicino, attraversa l’atmosfera quasi indisturbato e raggiunge la superficie terrestre. Questa è la porzione di UV responsabile di fenomeni come l'abbronzatura e l'invecchiamento cutaneo.
- Finestra tra 300 e 320 nm: l’atmosfera è parzialmente trasparente, consentendo a una frazione dell’UV-B (280-320 nm) di arrivare al suolo. Questa radiazione ha effetti biologici più dannosi rispetto all’UV-A, contribuendo a eritemi e danni al DNA cellulare.
Viceversa, ci sono regioni dello spettro UV completamente bloccate dall’atmosfera, impedendo l’osservazione da terra:
- UV-C (100-280 nm): assorbito quasi interamente dall’ozono, dall'ossigeno molecolare e da altri gas atmosferici, impedendo che raggiunga la superficie terrestre.
- UV estremo (10-100 nm): viene bloccato dall'ossigeno neutro e dall’azoto atmosferico, impedendo qualsiasi osservazione di queste lunghezze d'onda dalla superficie terrestre.
Grafico di assorbimento della radiazione UV da parte dell'atmsofera.
Poiché gran parte della radiazione ultravioletta - soprattutto quella maggiormente energetica - è assorbita prima di raggiungere il suolo, l'astronomia ultravioletta deve essere condotta dallo spazio. Telescopi orbitanti come il Galaxy Evolution Explorer (GALEX) o il Hubble Space Telescope (HST) (che ha strumenti sensibili all’UV) sono stati fondamentali per lo studio di fenomeni invisibili in altre lunghezze d'onda, come la formazione stellare, le atmosfere planetarie e le strutture del mezzo interstellare.
Per prevenire questi rischi, esistono sistemi di allerta basati sull'Indice UV, un parametro che misura l'intensità della radiazione ultravioletta a livello del suolo. Questo indice, incluso nei dati meteo giornalieri, aiuta a valutare il rischio di esposizione e fornisce raccomandazioni sulle precauzioni da adottare, come l'uso di creme solari, indumenti protettivi e occhiali da sole con filtri UV.
Come possiamo vedere le immagini in UV?
Quando un satellite osserva un corpo celeste in UV, i suoi strumenti registrano l'intensità della radiazione a diverse lunghezze d'onda nell'ultravioletto, creando uno spettro dettagliato. Questi dati vengono raccolti come segnali elettronici che misurano la quantità di radiazione che arriva dallo spazio in specifici intervalli di lunghezza d'onda. L'output di questi strumenti è in forma di dati numerici e immagini grezze, che rappresentano l'intensità della luce rilevata per ciascun pixel (o punto di osservazione) nell'immagine.
Poiché l'occhio umano non può percepire la radiazione UV, le immagini ottenute dai satelliti spaziali devono essere elaborate in modo da tradurre questi dati in un formato visibile e comprensibile.
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Conversione dei dati in un formato visibile: Mediante un processo chiamato "mappatura dei colori", gli astronomi assegnano ciascuna lunghezza d'onda osservata (o intervallo di lunghezze d'onda) a un colore visibile che l'occhio umano può percepire. Per esempio, una lunghezza d'onda nell'ultravioletto può essere mappata a un colore come il blu o il verde, che rappresenta visivamente la radiazione UV. Questo processo è una forma di falsi colori, dove i colori non corrispondono alla realtà visibile, ma sono scelti per evidenziare caratteristiche specifiche degli oggetti osservati.
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Combinazione con dati in altre bande dello spettro: Spesso i dati UV vengono combinati con osservazioni in altre bande dello spettro elettromagnetico, come il visibile, l'infrarosso o i raggi X, per creare immagini multibanda. Ogni banda fornisce informazioni complementari sugli oggetti celesti osservati. Per esempio, l'osservazione in UV può rivelare la presenza di stelle giovani e calde, mentre i dati in infrarosso possono rivelare la distribuzione del gas e della polvere. Combinando queste informazioni, gli astronomi creano immagini che offrono una visione più completa dell'oggetto osservato.
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Elaborazione delle immagini: Dopo aver mappato i dati UV a colori visibili (punto 1), le immagini vengono ulteriormente elaborate per migliorarne la chiarezza, la risoluzione e il contrasto.
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Creazione delle immagini finali: Le immagini finali vengono quindi assemblate e distribuite. Queste immagini sono spesso utilizzate per scopi scientifici, ma anche per la divulgazione, come nel caso di immagini pubblicate al pubblico tramite i siti web dei telescopi spaziali o in conferenze.
La nascita dell'astronomia in ultravioletto
Dalle prime osservazioni alle difficoltà tecniche fino al ruolo delle missioni spaziali nell'osservazione UV
L’astronomia ultravioletta ha radici nella scoperta della radiazione UV stessa, avvenuta nel 1801 grazie al fisico tedesco Johann Wilhelm Ritter. Ritter, basandosi sugli esperimenti di William Herschel sull’infrarosso, dimostrò l’esistenza di una radiazione invisibile oltre il violetto dello spettro visibile, caratterizzata da un’intensa capacità di annerire i sali d’argento.
Tuttavia, per oltre un secolo questa radiazione restò confinata agli studi di laboratorio, poiché la sua osservazione astronomica era impossibile da terra a causa dell’assorbimento atmosferico. Anzi, ci furono difficoltà proprio a comprendere la portata della scoperta: l'osservazione di Ritter, nel decennio successivo al 1801, "è stata talvolta accettata come un fatto ma [...] non ha avuto quasi alcun ruolo nel vivace dibattito sulla natura del calore e della luce. Noi sosteniamo che fu il discorso prevalente basato sulla metafisica di Stoffe a impedire una più ampia ricezione dei raggi invisibili di Ritter [...] In secondo luogo, con l'eccezione degli esperimenti di C. E. Wünsch sullo spettro visivo, non c'è stato alcun esame sperimentale dell'esperimento." (Reception and discovery: the nature of Johann Wilhelm Ritter’s invisible rays - Jan Frercks & Heiko Weber - 2009 in Studies in History and Philosophy of Science Part)
L’astronomia UV iniziò a svilupparsi solo nel XX secolo, con i primi esperimenti condotti ad alta quota. Durante la Seconda Guerra Mondiale, lo sviluppo di razzi e tecnologia aeronautica permise di trasportare strumentazione oltre gli strati più densi dell’atmosfera. Nel 1946, Lyman Spitzer, uno dei pionieri dell’astronomia spaziale, propose la costruzione di telescopi orbitanti per osservare lo spazio senza le limitazioni atmosferiche.
Un passo cruciale avvenne negli anni ’60 con i primi esperimenti UV condotti tramite razzi-sonda. Nel 1962, un team guidato da Riccardo Giacconi e Herbert Gursky utilizzò il satellite Aerobee 150 (crediti immagine Gunter's Space Page) per ottenere le prime immagini ultraviolette di stelle e galassie. Il razzo era in grado di raggiungere un'altitudine di circa 270 km con un carico utile di 70 kg di strumenti scientifici: gli esperimenti venivano eseguiti durante i pochi minuti in cui il razzo raggiungeva la sua massima altitudine e i dati venivano automaticamente ritrasmessi a una stazione a terra via radio.
Poco dopo, il progetto Orbiting Astronomical Observatory (OAO) della NASA portò alla messa in orbita di OAO-2 nel 1968, il primo telescopio UV operativo, che confermò l’esistenza di fenomeni ad alta energia non rilevabili da terra. Importante fu il Celescope Experiment, uno degli esperimenti principali a bordo del satellite e consistente in un telescopio a cielo aperto sensibile all'ultravioletto. Proprio questo esperimento in particolare ha segnato un passo importante nell'esplorazione del cielo oltre le capacità dell'osservazione terrestre, portando a scoperte che hanno avuto un impatto duraturo nell'astronomia.
La Cintura di Orione osservata dal Celescope Experiment. Crediti SAO/NASA Astrophysics Data System (ADS)
Gli anni ’70 e ’80 segnarono una crescita esponenziale dell’astronomia UV, con missioni dedicate e la scoperta di importanti caratteristiche delle stelle calde, delle nane bianche e dei fenomeni di accrescimento attorno ai buchi neri. Nel 1978, il satellite International Ultraviolet Explorer (IUE) divenne uno degli strumenti più rivoluzionari, permettendo l’osservazione continua dell’Universo in UV per oltre 18 anni e contribuendo a migliaia di pubblicazioni scientifiche.
Negli anni successivi, l’integrazione dell’astronomia ultravioletta con altre lunghezze d’onda ha portato a scoperte fondamentali sulla composizione e l’evoluzione delle galassie, la struttura della Via Lattea e l’ambiente intergalattico. L’eredità lasciata dalle missioni pionieristiche continua oggi con osservatori spaziali più avanzati, che hanno portato a un’espansione della nostra comprensione dell’universo nelle frequenze ultraviolette.
Cosa si studia nell'ultravioletto: i risultati
Dall'evoluzione stellare agli oggetti esotici dell'universo fino alle zone più remote fatte di AGN e quasar
L'astronomia ultravioletta ha permesso di esplorare aspetti dell'universo che sarebbero rimasti inaccessibili con osservazioni nelle lunghezze d'onda visibili o in altre bande dello spettro elettromagnetico. Studiando la luce nell'ultravioletto, gli astronomi hanno potuto osservare fenomeni che rivelano informazioni cruciali sulla composizione, la temperatura e l'evoluzione degli oggetti celesti più caldi e giovani, in grado di emettere una porzione significativa della loro radiazione in questa banda.
Stelle
Lo studio delle stelle giovani e calde attraverso la radiazione ultravioletta (UV) è uno degli ambiti di ricerca più affascinanti in astronomia, poiché queste stelle rappresentano le fasi iniziali della vita stellare, con processi fisici estremamente dinamici e potenti. La radiazione UV emessa da queste stelle è particolarmente importante per comprendere non solo le caratteristiche intrinseche delle stelle stesse, ma anche l'impatto che hanno sull'ambiente circostante, come la formazione di nebulose e la dinamica dei sistemi stellari. Grazie alla capacità della radiazione UV di penetrare in ambienti densi di gas e polvere, gli astronomi possono raccogliere informazioni dettagliate su stelle che altrimenti potrebbero essere difficili da studiare.
Le prime osservazioni delle stelle giovani e calde in UV risalgono agli anni '60 e '70, quando i telescopi spaziali, come il Copernicus Observatory, iniziarono a fare le prime scoperte significative nello studio delle stelle calde nelle regioni di formazione stellare. La radiazione UV, emessa principalmente dalle stelle più calde (tipicamente quelle di tipo spettrale O e B), è una firma chiara della loro temperatura elevata e della loro intensa attività nucleare. Queste stelle, con temperature che possono superare i 30.000 gradi Kelvin, sono tra le più brillanti dell'universo e la loro emissione ultravioletta costituisce una porzione significativa della loro luminosità totale. Tuttavia, la difficoltà nell'osservare la radiazione UV dalla superficie terrestre, dovuta all'assorbimento atmosferico, ha reso necessario l'uso di telescopi spaziali, come il telescopio IUE (International Ultraviolet Explorer), lanciato nel 1978, che ha fornito alcune delle prime osservazioni in UV di stelle giovani e calde.
Una delle scoperte chiave fatte grazie all'osservazione in UV riguarda la relazione tra la radiazione emessa dalle stelle giovani e le loro proprietà fisiche. Le stelle giovani e calde sono spesso immerse in regioni di gas e polvere, e l'interazione tra la loro intensa radiazione UV e il materiale circostante è una delle chiavi per comprendere il processo di formazione stellare. Nel 1980, grazie ai dati raccolti da IUE, gli astronomi scoprirono che la radiazione UV delle stelle calde è responsabile della ionizzazione del gas circostante, creando enormi "nebulose di emissione". L'ultravioletto consente quindi di identificare la presenza di questi processi di ionizzazione e di mappare la distribuzione del gas interstellare.
Osservazioni di IUE sulla proiezione dell'intero cielo. Crediti IUE/NASA
Nel 1990, con il lancio del Telescopio Spaziale Hubble, lo studio delle stelle giovani e calde ha compiuto un altro salto in avanti potendo contare su dettagli delle giovani stelle in formazione anche all'interno di ammassi stellari. Le osservazioni in UV hanno permesso di determinare la composizione chimica, la temperatura e la velocità delle stelle appena formate, oltre a rivelare processi come la perdita di massa stellare attraverso venti stellari molto intensi. Queste stelle, infatti, emettono grandi quantità di radiazione UV, che influisce sul materiale circostante, provocando l'evaporazione e il riscaldamento del gas e della polvere nelle regioni vicine. Un esempio emblematico di questo tipo di studio è l'osservazione della Grande Nebulosa di Orione. Grazie a Hubble e all’osservatorio spaziale Chandra, che osserva nei raggi X e nell'ultravioletto, gli astronomi hanno potuto studiare la formazione di stelle calde nel cuore di questa nebulosa, rilevando dettagli straordinari sulle nubi di gas e polvere che circondano queste stelle. Le osservazioni in UV hanno permesso di capire meglio come il vento stellare e la radiazione ultravioletta influenzano la formazione stellare e la chimica del gas nelle regioni di formazione.
Nel corso degli anni 2000, altre osservazioni UV hanno rivelato come la radiazione ultravioletta sia cruciale anche per comprendere l'evoluzione delle stelle giovani nel tempo. Le stelle calde, infatti, non sono stabili durante la loro giovinezza e attraversano fasi intense di attività, durante le quali la loro luminosità UV può variare notevolmente. Nel 2005, ad esempio, il telescopio spaziale Spitzer, osservando in infrarosso e UV, ha rivelato nuovi dettagli sulla formazione delle stelle massicce nelle regioni di formazione stellare, come le complesse interazioni tra il gas ionizzato e il gas molecolare nelle nebulose. Queste osservazioni hanno mostrato che le giovani stelle non solo emettono radiazione UV, ma che questa influisce anche sulle condizioni chimiche e fisiche all'interno della nebulosa, alterando la formazione di nuovi corpi stellari e planetari.
Inoltre, l'ultravioletto è stato fondamentale nel risolvere alcuni misteri legati all'evoluzione delle stelle di massa intermedia e alta. Le stelle massicce, che diventano supernovae al termine della loro vita, emettono enormi quantità di radiazione UV nei primi milioni di anni della loro esistenza. L'intensa radiazione UV da queste stelle è fondamentale anche per l'evoluzione delle galassie, poiché influisce sulla formazione stellare successiva, regolando la quantità di gas disponibile per la nascita di nuove stelle. Nel 2010, il telescopio spaziale Hubble ha permesso di misurare l'intensità e le proprietà della radiazione UV emessa dalle stelle massicce nelle galassie giovani, fornendo dettagli cruciali sui tassi di formazione stellare e sull'effetto della radiazione stellare sul mezzo interstellare.
Infine, grazie all’avanzamento delle tecnologie spaziali e all’arrivo del telescopio James Webb (JWST), che ha cominciato ad osservare nel 2022, lo studio delle stelle giovani e calde attraverso l’ultravioletto ha potuto proseguire su un piano ancora più avanzato. Il JWST, con il suo incredibile potere di risoluzione e sensibilità, promette di rivelare nuove informazioni sulle stelle giovani nelle galassie lontane, osservando non solo le stelle calde nel loro ambiente immediato, ma anche gli effetti a lungo termine della radiazione UV sul gas e sulla polvere che circondano le regioni di formazione stellare.
Nello studio delle stelle giovani, personaggi chiave sono stati, ad esempio, Lyman Spitzer Jr., pioniere in questo campo e ideatore del telescopio spaziale Hubble, Anne Underhill, importante astronoma che ha studiato le atmosfere delle stelle calde, ed Edward Jenkins, che ha guidato lo sviluppo di strumenti UV per i telescopi spaziali. Senza dimenticare George Herbig e Gilbert Haro, che nel corso degli anni 50 e 60 hanno iniziato a esplorare la luce UV da stelle giovani e galassie scoprendo oggetti che ancora oggi portano il loro nome (Oggetti-HH, Oggetti di Herbig-Haro).
Galassie
Lo studio delle galassie attraverso la radiazione UV ha rivelato aspetti fondamentali sull’evoluzione, la composizione e la formazione delle galassie, oltre a contribuire in modo cruciale, per estensione, alla comprensione dei processi che determinano l'evoluzione dell'universo. La radiazione UV è particolarmente utile per esplorare i componenti più giovani e caldi di una galassia, come le stelle appena nate, le regioni di formazione stellare e i venti stellari. Questo spettro di radiazione penetra inoltre meglio attraverso le polveri cosmiche rispetto ad altre lunghezze d'onda, permettendo agli astronomi di osservare anche i cuori più densi delle galassie, come i nuclei galattici attivi e i buchi neri supermassivi.
L'inizio dell’astronomia UV nelle galassie risale agli anni ’60, quando il lancio di telescopi spaziali, come Copernicus e IUE (International Ultraviolet Explorer), ha permesso di osservare galassie più lontane e le loro regioni interne. Le prime osservazioni UV nelle galassie hanno portato a una migliore comprensione della distribuzione delle stelle all'interno di esse, specialmente nelle galassie più attive. Già all'inizio degli anni ’70, IUE ha rivelato che la radiazione UV nelle galassie non proveniva solo dalle regioni centrali ma anche da distretti periferici, dove si stavano formando nuove stelle. Questo ha suggerito che le galassie, anche quelle apparentemente mature, sono processi dinamici e in continuo cambiamento.
Nel corso degli anni ’80 e ’90, con l’avvento di telescopi come il Hubble Space Telescope (HST), lo studio delle galassie in UV è passato a un livello successivo. Hubble ha fornito osservazioni ad alta risoluzione che hanno permesso di mappare in dettaglio le regioni di formazione stellare all'interno delle galassie. Una delle scoperte fondamentali è stata che l'intensa radiazione UV emessa dalle stelle giovani e calde è fondamentale per alimentare la luminosità delle galassie in fase di formazione. La radiazione UV proveniente da queste stelle ionizza il gas circostante, creando enormi nebulose di emissione che possono essere osservate in dettaglio. Le osservazioni UV hanno anche permesso di analizzare le galassie in fase di fusione, che mostrano segnali di intensi tassi di formazione stellare, come nel caso delle galassie starburst. Queste galassie emettono radiazione UV a causa della formazione di grandi quantità di stelle massicce, che evolvono rapidamente e quindi emettono abbondante radiazione ultravioletta.
Le scoperte relative alle galassie di tipo starburst sono state fondamentali per comprendere come le galassie si evolvono nel tempo. Queste galassie sono caratterizzate da un'esplosione di formazione stellare che porta a una grande produzione di radiazione UV. La radiazione UV di queste galassie è stata studiata in dettaglio con Hubble e con il telescopio FUSE (Far Ultraviolet Spectroscopic Explorer), lanciato nel 1999. Le osservazioni hanno permesso di determinare che l’intensa radiazione UV non solo proviene dalle stelle calde, ma anche dalla interazione di questa radiazione con il gas interstellare, creando spettacolari nebulose di emissione e rivelando la composizione chimica del gas. Inoltre, l’intensità della radiazione UV è stata utilizzata per determinare l’età delle galassie, permettendo agli astronomi di calcolare quando una galassia ha smesso di formare stelle attivamente e quando ha raggiunto la sua attuale configurazione.
Nel 2000, grazie a Hubble e a telescopi spaziali come Spitzer, è stato possibile osservare galassie distanti nell’universo primordiale. Le osservazioni UV hanno fornito informazioni cruciali sulla formazione delle prime stelle e galassie, permettendo agli astronomi di esplorare un’epoca cosmologica che precede la formazione delle galassie moderne. Le galassie più distanti che possiamo osservare sono anche quelle più giovani, quindi la loro radiazione UV ci fornisce una “finestra” sul passato remoto dell’universo. Una delle scoperte più interessanti è stata la rivelazione di galassie molto piccole e compatte che avevano un’intensa formazione stellare, ma che apparentemente avevano una vita più breve rispetto alle galassie moderne. Queste osservazioni hanno suggerito che la formazione delle galassie potrebbe essere avvenuta in modalità diverse rispetto alle galassie odierne.
L'uso della radiazione UV per studiare le galassie ha anche avuto implicazioni per la comprensione dei nuclei galattici attivi (AGN) e dei buchi neri supermassivi. Questi oggetti emettono forti quantità di radiazione UV, e l'osservazione di questo spettro è stata fondamentale per studiare il comportamento del materiale che cade verso il buco nero e per analizzare i meccanismi di accrescimento. L'osservazione UV dei buchi neri supermassivi nelle galassie è stata un obiettivo chiave delle missioni spaziali come Chandra e XMM-Newton, che, pur osservando anche i raggi X, forniscono dati complementari alla radiazione UV. Grazie a questi studi, gli astronomi hanno potuto scoprire che i buchi neri in alcuni nuclei galattici emettono enormi quantità di energia UV durante le fasi di accrescimento, fenomeno che può influenzare l'intera galassia circostante.
Le scoperte più recenti, come quelle ottenute dal telescopio spaziale James Webb (JWST), che ha iniziato a raccogliere dati nel 2022, promettono di portare lo studio delle galassie a un nuovo livello. Il JWST è in grado di osservare l'universo primordiale con una sensibilità senza precedenti, rivelando galassie ancora più distanti e giovani di quanto fosse possibile prima. Le osservazioni UV del JWST permetteranno di ottenere nuovi dettagli sulla formazione delle prime galassie e sul loro impatto sull'evoluzione delle strutture cosmiche.
Atmosfere planetarie
Lo studio della radiazione UV nell'ambito degli esopianeti e delle loro atmosfere è un campo relativamente recente ma in rapida evoluzione, che ha visto importanti progressi grazie agli sviluppi tecnologici e alle missioni spaziali. La sua applicazione consente di investigare l'atmosfera di pianeti e lune, poiché osserva l'interazione tra la radiazione stellare e le molecole atmosferiche e, di conseguenza, fornisce importanti indicazioni anche sulla potenziale abitabilità di pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare.
I primi passi nello studio delle atmosfere di esopianeti attraverso l’ultravioletto risalgono agli anni '90, quando il concetto di esopianeta iniziò a guadagnare attenzione nella comunità scientifica. Tuttavia, prima della scoperta di questi pianeti, gli astronomi si concentravano principalmente sulle atmosfere di pianeti del nostro Sistema Solare come Giove, Saturno, e Marte. L'ultravioletto era già utilizzato per analizzare i dettagli atmosferici di questi corpi, ma la comprensione dei processi atmosferici su pianeti extrasolari sarebbe stata un'impresa ardua senza strumenti avanzati e missioni spaziali dedicate.
La vera svolta arrivò - di nuovo - con il lancio del telescopio spaziale Hubble nel 1990, che segnò un punto di non ritorno nello studio degli esopianeti. Sebbene inizialmente Hubble fosse focalizzato principalmente sull’osservazione di oggetti nel nostro sistema solare e nell’universo lontano, ben presto si fece strada anche come strumento di ricerca per gli esopianeti, grazie alla sua capacità di osservare nello spettro UV. Nel 2000, una delle prime scoperte significative fu la possibilità di osservare la composizione atmosferica di alcuni esopianeti attraverso il transito di questi corpi davanti alla loro stella madre.
Uno degli esempi emblematici fu lo studio dell’esopianeta HD 209458 b, uno dei primi esopianeti scoperti con transito e studiato in dettaglio. Nel 2001, utilizzando Hubble, gli astronomi furono in grado di rilevare tracce di sodio nell’atmosfera del pianeta fornendo una delle prime prove concrete che le atmosfere degli esopianeti potevano essere osservate in UV. Gli astronomi notarono anche che la radiazione UV proveniente dalla stella madre aveva un effetto significativo sull’atmosfera del pianeta, che perdeva materiale atmosferico a causa dell'intensa radiazione. Altro esempio è fornito dall'atmosfera di HD 189733 b, il cui studio ha evidenziato la presenza di molecole come l’acqua e il metano, ma anche segnali di interazioni con il vento stellare, che potrebbe erodere l'atmosfera del pianeta.
L'importanza dell'ultravioletto nell'analisi degli esopianeti divenne ancora più chiara con il lancio del telescopio Kepler nel 2009. Sebbene Kepler fosse focalizzato principalmente sulla ricerca di nuovi esopianeti, i dati raccolti hanno contribuito indirettamente a migliorare la nostra comprensione delle atmosfere planetarie.
A partire dal 2015, l'astronomia UV sugli esopianeti ha continuato a fare passi da gigante. Il lancio del James Webb Space Telescope (JWST) ha permesso di portare a una nuova era nella spettroscopia UV degli esopianeti. Il JWST è progettato per osservare non solo nel vicino infrarosso, ma anche in una piccola porzione dell'ultravioletto, espandendo ulteriormente la capacità di studiare le atmosfere planetarie. Grazie alla sua maggiore sensibilità rispetto ai telescopi precedenti, si prevede che il JWST possa rilevare segnali UV da una vasta gamma di esopianeti, inclusi quelli in zone abitabili, per analizzare meglio la loro composizione atmosferica e potenziale abitabilità.
Una delle scoperte più affascinanti che potrebbe derivare da queste future osservazioni UV riguarda la potenziale presenza di biosignature, segni della vita, nell'atmosfera di esopianeti. Mentre i telescopi spaziali come Hubble e James Webb studiano la chimica atmosferica di esopianeti lontani, gli scienziati stanno cercando segnali che possano indicare la presenza di vita, come la combinazione di ossigeno e metano, che potrebbe essere mantenuta in equilibrio grazie all'attività biologica. La radiazione UV gioca un ruolo cruciale in questo, poiché l’interazione tra la radiazione stellare UV e le molecole atmosferiche potrebbe rivelare indizi cruciali sulle condizioni ambientali e la possibilità che un esopianeta ospiti forme di vita.
Supernovae
Lo studio delle supernovae attraverso la radiazione ultravioletta (UV) ha rappresentato una delle frontiere più affascinanti e rivelatrici dell'astronomia moderna. L'ultravioletto gioca un ruolo cruciale nell’analizzare questi fenomeni estremi, poiché molte delle caratteristiche fondamentali delle supernovae, come la temperatura, la composizione chimica e le dinamiche dell'esplosione, sono espresse attraverso la radiazione UV. La possibilità di osservare queste esplosioni in UV ha permesso agli astronomi di raccogliere informazioni dettagliate sulle fasi iniziali dell'esplosione e sui processi fisici che avvengono durante e dopo l'esplosione stessa.
La Crab Nebula in ultravioletto. Crediti ESA
Il primo passo importante nello studio delle supernovae in UV avvenne negli anni '70, quando gli astronomi cominciarono a rendersi conto che la luce ultravioletta era fondamentale per comprendere la natura di questi eventi. Sebbene molte osservazioni di supernovae fossero state effettuate nell'ottico, si capiva che una porzione significativa dell'energia liberata durante l'esplosione si trovava nella banda UV.
Un passo fondamentale venne con il lancio del telescopio spaziale Hubble nel 1990. Una delle prime supernovae osservate in UV fu SN 1987A, la supernova più celebre e studiata del secolo, che esplose nella Grande Nebulosa di Magellano nel 1987. Sebbene la supernova fosse visibile anche nell’ottico, le osservazioni in UV rivelarono importanti dettagli sulle proprietà dell’esplosione, come la temperatura della stella esplosa e la velocità del materiale espulso. Queste osservazioni fornirono prove tangibili che una parte significativa dell'energia della supernova veniva emessa proprio nell’ultravioletto, contribuendo a una comprensione più precisa dei meccanismi fisici alla base delle esplosioni.
Immagine della supernova SN1987A in ultravioletto. Crediti NASA
Negli anni successivi, Hubble ha continuato a fare osservazioni fondamentali delle supernovae nelle bande UV, in particolare per quanto riguarda le supernovae di tipo Ia, esplosioni termonucleari di stelle nane bianche e fondamentali "candele standard" per la misurazione delle distanze cosmiche. Le osservazioni UV delle supernovae di tipo Ia hanno permesso di comprendere meglio la composizione chimica delle stelle nane bianche e il processo di esplosione. Un esempio significativo fu lo studio di SN 2000cx, una supernova di tipo Ia, che mostrò caratteristiche in UV che sfidavano le teorie precedenti sulla sua natura. Queste osservazioni hanno suggerito che le supernovae di tipo Ia non fossero tutte identiche, ma potessero avere diversi meccanismi di esplosione, un’idea che ha aperto nuove strade nella ricerca sulla cosmologia.
Un altro campo fondamentale nello studio delle supernovae in UV riguarda la loro evoluzione post-esplosione. Dopo che una supernova esplode, il materiale espulso si espande nello spazio, creando un’enorme nube di gas che può emettere radiazione UV. Le osservazioni in UV hanno permesso di seguire queste nubi di gas in espansione e di analizzare come esse interagiscono con l’ambiente circostante. In particolare, l'ultravioletto è stato essenziale per analizzare la formazione degli strati di gas ionizzati che circondano una supernova, come nel caso delle nebulose create dalle supernovae che esplodono in ambienti ricchi di idrogeno e polvere interstellare. L’analisi della luce UV ha permesso di misurare la temperatura di questi gas e di comprendere come evolvono nel tempo, un aspetto cruciale per determinare il destino finale di questi oggetti.
Nel 2005, un altro grande passo nello studio delle supernovae in UV è stato il lancio del Swift Space Telescope, progettato per osservare esplosioni cosmiche come le supernovae e i lampi gamma. Swift ha fornito dati in tempo reale su supernovae e altre esplosioni cosmiche, rilevando l'emissione di radiazione UV e X nelle fasi più precoci dell’esplosione. Le osservazioni di Swift hanno migliorato la nostra comprensione delle fasi iniziali di queste esplosioni, rivelando dettagli sull'intensità e la durata della radiazione emessa, che si rivelano cruciali per modellare i processi fisici coinvolti nelle supernovae.
L'analisi in UV ha anche aperto nuove prospettive nello studio delle supernovae ad alta energia, come quelle che avvengono in ambienti estremi, dove la materia raggiunge temperature e densità molto elevate. Le supernovae che esplodono in questi ambienti possono emettere radiazione UV estremamente intensa, che fornisce indizi fondamentali su processi come la fusione nucleare e la formazione di elementi pesanti, tra cui oro e platino. Le osservazioni di queste supernovae in UV potrebbero anche aiutarci a comprendere meglio il destino finale dei resti di queste esplosioni, come i buchi neri o le stelle di neutroni che si formano al centro di alcune supernovae.
Infine, la radiazione ultravioletta è stata essenziale per analizzare il ruolo delle supernovae nel ciclo di vita degli elementi chimici nell'universo. Dopo l’esplosione di una supernova, gli elementi sintetizzati all’interno della stella vengono lanciati nello spazio, arricchendo il mezzo interstellare. Questi elementi possono poi essere incorporati in nuove stelle e pianeti, influenzando la formazione di nuovi sistemi solari e la chimica cosmica. Le osservazioni UV delle supernovae, insieme a quelle in altre bande, hanno permesso di tracciare come gli elementi vengano distribuiti attraverso l'universo, offrendo una visione più chiara del processo di arricchimento chimico delle galassie.
Gli strumenti per l'astronomia ultravioletta
Dai telescopi spaziali dedicati all'ultravioletto agli strumenti a disposizione delle sonde spaziali
L’astronomia nell’ultravioletto ha fatto significativi progressi grazie a una serie di strumenti sviluppati e lanciati nello spazio, che hanno permesso di osservare e analizzare la radiazione ultravioletta proveniente da stelle, galassie, buchi neri e altri fenomeni cosmici.
OAO-2 (Orbiting Astronomical Observatory-2) – 1968–1972
Il OAO-2, lanciato nel 1968, fu uno dei primi satelliti dedicati esclusivamente all'astronomia UV. Con il suo telescopio da 90 cm e i suoi spettrometri, operò nella banda ultravioletta tra i 120 e i 320 nm. Il OAO-2 fu il primo strumento a fornire immagini nell’UV ad alta risoluzione, portando a significative scoperte nel campo delle stelle giovani, delle nebulose e delle galassie.
Le osservazioni UV raccolte dal OAO-2 permisero di osservare la composizione chimica e le dinamiche delle atmosfere stellari, delle regioni di formazione stellare e degli oggetti galattici. Uno degli obiettivi principali fu quello di analizzare le stelle calde e massicce, nonché i fenomeni associati alla loro evoluzione.
Telescopio spaziale Copernicus (1972 - 1981)
Uno dei primi satelliti dedicati all’astronomia UV fu Copernicus (OAO-4), lanciato l'11 agosto 1972 allo scopo di studiare le emissioni UV di stelle, galassie e altri corpi celesti, ottenere spettri ad alta risoluzione per analizzare composizione chimica e proprietà fisiche nonché comprendere meglio i processi di formazione stellare ed evoluzione galattica. Copernicus operò nella banda dell’ultravioletto lontano (100–320 nm), raccogliendo spettroscopia e fotometria. Copernicus ha consentito di studiare dettagliatamente le atmosfere e le emissioni ultraviolette di stelle calde, comprese le stelle di tipo O e B, ha fornito dati cruciali sulla composizione chimica e la distribuzione della materia interstellare, rivelando la presenza di molecole come l'idrogeno molecolare (H2) e il monossido di carbonio (CO), ha ottenuto spettri ultravioletti di diverse galassie, consentendo agli astronomi di studiare la loro composizione stellare e l'attività di formazione di nuove stelle e, non ultimo, ha contribuito allo studio dei nuclei galattici attivi. Tra le scoperte più significative ci furono le misurazioni delle caratteristiche atmosferiche di stelle vicine come il Sole e stelle giovani e calde, rivelando la composizione chimica e i processi di ionizzazione.
L'orbita era circolare, a 740 chilometri di altitudine sulla superficie terrestre.
International Ultraviolet Explorer (IUE) (1978 - 1996)
Lanciato il 26 gennaio 1978, IUE è stato il primo telescopio spaziale progettato principalmente per osservazioni astronomiche nella luce ultravioletta e rappresentò un progresso significativo nel settore. Progetto congiunto tra NASA, Agenzia Spaziale Europea (ESA) e il Science Research Council britannico, fu il primo telescopio spaziale in grado di osservare in modo continuo nell'ultravioletto, operando nelle bande da 115 a 320 nm.
Uno degli aspetti innovativi di IUE fu il suo design che permetteva agli astronomi di richiedere osservazioni in tempo reale, un'operazione mai vista prima per uno strumento spaziale.
Tra i risultati più rilevanti di IUE vi furono studi avanzati sulle atmosfere stellari e sui venti stellari, analizzando dettagli come la temperatura, la densità e la composizione chimica di oggetti celesti. Ad esempio, le osservazioni UV di IUE permisero di ottenere importanti informazioni sulla struttura e l'evoluzione di stelle massicce e delle loro atmosfere. Inoltre, IUE contribuì alla comprensione dei processi fisici alla base della formazione di stelle e della dinamica dei sistemi stellari. Non solo: a IUE si devono la prima identificazione dell'aurora su Giove e di zolfo nelle comete, la prima determinazione quantitativa di acqua persa da una cometa, la prima evidenza sperimentale della perdita di massa semiperiodica nelle stelle di grande massa, la prima identificazione della progenitrice della SN 1987A e tanto altro.
La missione di IUE è durata 18 anni, molto più dei 3 anni previsti inizialmente. Questo ha permesso di raccogliere una grande quantità di dati e di studiare.
- Telescopio Ritchey-Chrétien: Un telescopio di 45 cm di diametro, ottimizzato per la luce ultravioletta. Questo telescopio raccoglieva la luce proveniente dagli oggetti celesti e la focalizzava sugli spettrografi.
- Spettrografi: IUE era dotato di due spettrografi in grado di suddividere la luce ultravioletta in diverse lunghezze d'onda. Questa suddivisione permetteva agli astronomi di studiare la composizione chimica, la temperatura e la velocità degli oggetti celesti. Gli spettrografi coprivano una gamma di lunghezze d'onda ultraviolette da 115 a 320 nanometri. Questa gamma includeva sia l'ultravioletto lontano (FUV), sia l'ultravioletto vicino (NUV).
La combinazione del telescopio e degli spettrografi permetteva a IUE di ottenere spettri ad alta risoluzione di oggetti celesti, rivelando dettagli importanti sulle loro caratteristiche fisiche e chimiche.
Oltre alla strumentazione principale, IUE era dotato di altri strumenti, tra cui:
- Sensori di assetto per mantenere un orientamento preciso nello spazio, puntando il telescopio verso gli oggetti celesti desiderati.
- Sistema di comunicazione per comunicare con le stazioni di terra, inviando i dati scientifici raccolti e ricevendo comandi dagli astronomi.
GALEX (Galaxy Evolution Explorer) (2003–2013)
GALEX, lanciato il 28 aprile 2003, era un telescopio spaziale dedicato all'osservazione nell'ultravioletto. Operando nelle bande UV vicine e lontane (135–300 nm), GALEX ha svolto un ruolo cruciale nello studio dell'evoluzione delle galassie. La sua missione principale era quella di mappare la distribuzione di stelle giovani e calde, nonché di studiare le galassie in formazione e studiarne l'evoluzione. Non ultimo, identificare nuove galassie.
La coda della stella Mira evidenziata da GALEX contro una immagine nel visibile della stessa stella. Crediti NASA
I risultati di GALEX hanno rivelato la struttura delle galassie distanti e la composizione delle loro giovani stelle, contribuendo a capire meglio il processo di formazione delle galassie. Una delle scoperte più importanti di GALEX è stata la mappatura di stelle giovani in galassie lontane, che ha rivelato come la formazione stellare nelle galassie evolvessero nel tempo. Le osservazioni di GALEX hanno anche contribuito a una comprensione più profonda delle galassie a bassa massa e del loro sviluppo nelle fasi iniziali dell'universo. Tra i risultati più puntuali, si annovera la scoperta di una coda dietro la stella Mira, una coda lunga 13 anni luce e creata dal vento stellare della stella stessa in interazione con il mezzo interstellare, nonché l'osservazione di un buco nero nell'atto di distruggere una stella. Non ultimo, la scoperta di anelli di nuove stelle intorno a vecchie galassie, a suggerire come le galassie possano crescere ed evolvere attraverso l'accrescimento da materiale esterno.
- Telescopio ultravioletto di 50 cm di diametro che raccoglieva la luce ultravioletta proveniente dagli oggetti celesti.
- Spettrografo che divideva la luce ultravioletta in diverse lunghezze d'onda, permettendo agli astronomi di studiare la composizione chimica e la velocità degli oggetti celesti.
Hubble Space Telescope (HST) (1990 - presente)
Lanciato il 24 aprile 1990, il Hubble Space Telescope è una collaborazione NASA-ESA, uno degli strumenti più noti per l'astronomia UV, con una gamma di osservazione che spazia da 115 a 300 nm.
La messa in opera di Hubble aveva come scopi primari lo studio dell'origine e dell'evoluzione galattica, l'osservazione della formazione stellare e planetaria, l'analisi della composizione chimica dei corpi celesti nonché la scoperta di nuovi oggetti e fenomeni.
Hubble Space Telescope. Crediti NASA
Hubble ha fatto scoperte rivoluzionarie grazie alla sua capacità di osservare oggetti estremamente distanti e deboli nell'ultravioletto, come le galassie più lontane, le nebulose in formazione, e le atmosfere degli esopianeti. Gli studi UV di Hubble hanno permesso di rivelare l’esistenza di giovani stelle nelle galassie più lontane e di analizzare i venti stellari in modo dettagliato, nonché le emissioni UV da galassie e nuclei galattici attivi.
Particolarmente importante è stato il contributo di Hubble allo studio degli esopianeti. Attraverso il suo spettrografo COS, è stato possibile osservare per la prima volta gli spettri UV provenienti dalle atmosfere degli esopianeti, rivelando composizioni atmosferiche e identificando elementi come idrogeno e ossigeno. Hubble ha anche contribuito a scoprire dettagli sulla formazione di galassie primordiali e ha studiato in dettaglio i buchi neri supermassivi e i loro effetti sull’evoluzione galattica. Grazie all'HST, sono state fatte numerose scoperte fondamentali in astronomia, tra cui la misurazione precisa dell'espansione accelerata dell'universo, la scoperta di buchi neri supermassicci al centro delle galassie, l'osservazione diretta della formazione di stelle e pianeti e l'individuazione di esopianeti, alcuni dei quali potenzialmente abitabili.
- Wide Field Camera 3 (WFC3): Fotocamera ad alta risoluzione per immagini ad ampio campo nel visibile e nell'infrarosso vicino.
- Cosmic Origins Spectrograph (COS): Spettrografo per l'ultravioletto per studiare la composizione chimica di oggetti lontani.
- Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS): Spettrografo per l'ultravioletto, il visibile e il vicino infrarosso per analisi dettagliate.
- Advanced Camera for Surveys (ACS): Fotocamera ad alta efficienza per immagini nel visibile.
Far Ultraviolet Spectroscopic Explorer (FUSE) (1999 - 2007)
Lanciato nel 1999, il Far Ultraviolet Spectroscopic Explorer (FUSE) ha operato principalmente nella banda UV lontano (90–160 nm), una gamma che non era stata esplorata in dettaglio fino ad allora. FUSE è stato progettato per osservare oggetti cosmici come le nebulose, le stelle e le galassie vicine, con un particolare focus sulle proprietà chimiche e fisiche delle atmosfere stellari e interstellari. Più analiticamente, la missione principale consisteva nell'ottenere spettri ad alta risoluzione di oggetti celesti nell'ultravioletto lontano, una banda spettrale particolarmente ricca di informazioni su atomi e molecole, permettendo lo studio della composizione chimica e delle condizioni fisiche di una vasta gamma di oggetti. Tra gli obiettivi principali vi era anche lo studio delle nebulose planetarie e delle regioni di formazione stellare, osservando in particolare la composizione chimica e le interazioni tra il materiale stellare e il gas circostante. Le osservazioni UV di FUSE hanno permesso di ottenere spettri dettagliati, rivelando la presenza di elementi leggeri come l’idrogeno e l’elio, ma anche di molecole complesse, in particolare nelle regioni di formazione stellare. In particolare, FUSE ha giocato un ruolo fondamentale nella rivelazione e nello studio dell'idrogeno molecolare, una molecola fondamentale per la formazione delle stelle e dei pianeti, in diverse regioni dell'universo. Ha contribuito a misurare l'abbondanza di deuterio nell'universo, un elemento leggero formatosi durante il Big Bang. Ha fornito dati dettagliati sulla composizione e la struttura del mezzo interstellare, rivelando la presenza di diverse specie chimiche e fornendo informazioni sulla temperatura e la densità del gas. Ha infine permesso di studiare le atmosfere di stelle calde, rivelando la presenza di venti stellari e processi di perdita di massa.
Swift – 2004–presente
Lanciato il 20 novembre 2004, Swift è un osservatorio spaziale della NASA dedicato allo studio dei lampi gamma che ha contribuito in modo significativo allo studio dei fenomeni energetici nel cielo. Anche se maggiormente specializzato in energie maggiori come raggi X e gamma (e quindi se ne parlerà negli appositi spazi), Swift è dotato anche di un telescopio UV-Optical Telescope (UVOT) che opera tra 170 e 600 nm, permettendo osservazioni in UV anche dopo l'esplosione di un GRB. In questo ambito, SWIFT ha consentito di studiare le post-luminescenze (afterglow) dei GRB: dopo il lampo iniziale, Swift osserva le emissioni successive nelle bande X, ultravioletto e ottico per studiare le proprietà dell'ambiente circostante. Tra le scoperte principali, vi è la rivelazione di una popolazione di lampi gamma di breve durata, che si ritiene siano prodotti dalla fusione di stelle di neutroni o buchi neri, nonché la conferma della connessione tra GRB e ipernovae.
XMM-Newton (2000 - presente)
Sebbene principalmente un telescopio a raggi X, XMM-Newton è dotato anche di spettrometri che permettono di osservare la radiazione ultravioletta. Lanciato il 10 dicembre 1999, il telescopio spaziale europeo è stato uno strumento fondamentale per lo studio dei fenomeni energetici nell'universo, come i buchi neri, le supernovae e le galassie attive. Le sue osservazioni in UV hanno permesso di analizzare in dettaglio le atmosfere degli oggetti estremi come i buchi neri supermassivi e i resti di supernovae. Se ne parlerà meglio nel contesto giusto, quello dei raggi X.
James Webb Space Telescope (JWST) (2021 - presente)
Il James Webb Space Telescope (JWST), lanciato nel 2021, è il più recente e sofisticato strumento per l'astronomia a infrarosso. Sebbene progettato principalmente per l’infrarosso, il JWST può anche osservare indirettamente anche la radiazione UV, fino a 0.6 micrometri, emessa da galassie distanti visto che per redshift cosmologico questa radiazione giunge a noi stirata fino all'infrarosso. Il telescopio è quindi in grado di esplorare le galassie primordiali, gli esopianeti e le nebulose, e si prevede che fornirà dati cruciali per studiare le prime fasi dell’universo e la formazione delle prime stelle.
Cataloghi e mappe dell'universo in ultravioletto
Le principali survey UV, i dati e gli archivi disponibili per la comunità scientifica
I cataloghi e le mappe UV sono strumenti fondamentali per l’astronomia ultravioletta, in quanto permettono di raccogliere, organizzare e analizzare i dati osservativi relativi a oggetti celesti studiati in questa banda dello spettro elettromagnetico.
Il "UV Sky Survey Catalog" (UVSSC) è una risorsa fondamentale per lo studio dell'Universo nell'ultravioletto, offrendo dati dettagliati su sorgenti celesti osservate in queste lunghezze d'onda. Si tratta di una piattaforma che offre accesso ai dati del GALEX, inclusi cataloghi come il GUVcat, che contiene misurazioni in FUV e NUV di quasi 600 milioni di sorgenti. UVSky fornisce strumenti per esplorare e analizzare questi dati, facilitando ricerche su larga scala nell'astronomia ultravioletta.
Uno dei cataloghi più significativi in questo ambito è il "Revised Catalog of GALEX Ultraviolet Sources. I. The All-Sky Survey" (GUVcat_AIS), derivato dalle osservazioni del GALEX. GALEX ha mappato il cielo in due bande ultraviolette: far-UV (FUV) e near-UV (NUV), fornendo la primo survey completa del cielo a queste lunghezze d'onda. Il catalogo GUVcat_AIS include oltre 83 milioni di sorgenti uniche, con misurazioni in entrambe le bande FUV e NUV, coprendo un'area di circa 24.790 gradi quadrati. Questo catalogo è stato migliorato rispetto alle versioni precedenti, includendo correzioni critiche e nuovi tag per facilitare le indagini scientifiche.
GALEX Ultraviolet Atlas of Nearby Galaxies è un atlante che presenta immagini, fotometria integrata e profili di luminosità superficiale e colore per 1.034 galassie vicine osservate da GALEX. È focalizzato su galassie relativamente vicine e offre dati dettagliati per studi sulla formazione stellare e altre proprietà galattiche
[LINK]La piattaforma UVSky può essere visitata a questo link, Attenzione, il sito non supporta protocollo SSL quindi si apre con http e non con https. Stessa cosa per il GUVcat_AIS, rintracciabile a questo link. Il GALEX Ultraviolet Atlas of Nearby Galaxies può essere visionato a questo link[LINK]
Il Hubble UV Legacy Catalog è un altro importante strumento per gli astronomi che studiano l'universo nell'ultravioletto. Creato a partire dalle osservazioni UV effettuate dal Hubble Space Telescope, questo catalogo contiene una vasta gamma di dati spettroscopici e fotometrici relativi a stelle, buchi neri, galassie e nebulose. Uno dei progetti principali in questo ambito è l'Ultraviolet Legacy Library of Young Stars as Essential Standards (ULLYSES). Questo programma triennale ha osservato circa 220 giovani stelle, sia ad alta che a bassa massa, nella nostra galassia e in galassie nane vicine. L'obiettivo è comprendere come le stelle giovani si formano e influenzano i loro ambienti attraverso l'emissione di radiazione UV. I dati raccolti includono spettri ad alta risoluzione che permettono di analizzare dettagliatamente le proprietà fisiche e chimiche di queste stelle. Un altro contributo significativo è dato dall'HST UV Legacy Survey of Galactic Globular Clusters, che ha prodotto cataloghi astrofotometrici di 56 ammassi globulari e un ammasso aperto. Questi cataloghi forniscono informazioni dettagliate sull'astrometria e la fotometria delle stelle in questi ammassi, basate principalmente su immagini raccolte con i filtri UV F275W, F336W e F438W. Inoltre, l'Hubble Deep UV (HDUV) Legacy Survey ha ottenuto immagini UV profonde delle regioni centrali dei campi GOODS, coprendo un'area totale di circa 100 arcmin² con i filtri F275W e F336W. Questi dati consentono lo studio dettagliato delle galassie a redshift elevati e la costruzione di distribuzioni spettrali di energia su un ampio intervallo di lunghezze d'onda.
Per accedere a questi dati, il Mikulski Archive for Space Telescopes (MAST) offre l'Hubble Spectroscopic Legacy Archive (HSLA), che fornisce alla comunità scientifica spettri combinati nel lontano ultravioletto ottenuti con il Cosmic Origins Spectrograph (COS) a bordo di Hubble. Questa risorsa è preziosa per studi spettroscopici dettagliati di una varietà di oggetti astronomici.
Il futuro dell'astronomia ultravioletta
Progetti in corso e missioni future: le nuove frontiere della ricerca in ultravioletto
Come per tutto il resto degli studi scientifici, anche per il futuro dell'astronomia ultravioletta sono attese nuove opportunità e sfide, grazie ai progressi tecnologici e ai progetti innovativi che stanno prendendo forma. L'ultravioletto rimane una banda fondamentale per comprendere fenomeni astrofisici cruciali, come la formazione stellare, l'evoluzione delle galassie, e lo studio di oggetti estremi come buchi neri e supernovae e le missioni in programma, i nuovi strumenti e le nuove tecnologie consentiranno di espandere enormemente le nostre conoscenze e di esplorare l'universo in modi mai visti prima.
Molto ci si aspetta dal James Webb Space Telescope sebbene il JWST non sia dedicato direttamente - come detto - all'osservazione UV. Le sue osservazioni, insieme alla sua capacità di esplorare lunghezze d'onda in altre bande, contribuiranno a una visione più completa dell'universo distante, sulle galassie ad alto redshift.
Un altro strumento fondamentale per il futuro sarà il LUCI (Lyman-Alpha Mapping and Intensity Mapper), un progetto che mira a mappare l'universo primordiale nell'ultravioletto, in particolare osservando la radiazione Lyman-alpha emessa da gas e galassie lontane. LUCI sarà in grado di raccogliere dati cruciali sull'evoluzione delle prime galassie e sulla formazione delle strutture cosmiche più antiche, contribuendo in modo determinante alla nostra comprensione della reionizzazione dell'universo e dell'emergere delle prime stelle e galassie.
Altri sviluppi chiave includono il ASTRO-H, che, sebbene sia un telescopio spaziale focalizzato principalmente sugli raggi X, ha anche la capacità di raccogliere dati nell'ultravioletto. L'osservazione di sorgenti di alta energia, come i buchi neri e le supernovae, nell'ultravioletto, potrà portare a nuove scoperte sul comportamento delle stelle massicce e sull'interazione tra materia e radiazione.
La comprensione dei fenomeni cosmici più remoti e dei processi che modellano l'universo si arricchirà di nuove prospettive, aprendo una finestra sempre più dettagliata sul cosmo. Con i futuri telescopi UV, saremo in grado di esplorare la formazione delle prime stelle e galassie, studiare la chimica delle atmosfere planetarie e investigare la natura della materia oscura e dell'energia oscura, questioni fondamentali per il nostro attuale modello cosmologico. L'astronomia UV, quindi, rappresenta una frontiera ancora tutta da esplorare, e le prossime generazioni di osservatori spaziali sono destinate a ridefinire la nostra comprensione dell'universo.
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