Planet nine: Caccia al fantasma ai confini del Sistema Solare
La danza invisibile ai confini del Sistema Solare
Da qualche anno è tangibile la sensazione che il nostro Sistema Solare potrebbe non essere ancora completo dal punto di vista planetario
Le regioni esterne del nostro Sistema Solare, oltre la estesissima orbita di Nettuno, si estendono in una vastità fredda e buia, un regno di mistero che ancora oggi sfida la nostra completa comprensione. Qui si trova la Fascia di Kuiper, un vasto anello di corpi ghiacciati, detriti primordiali e pianeti nani, considerati veri e propri relitti risalenti alle prime fasi della formazione planetaria, circa 4,5 miliardi di anni fa. Questi oggetti transnettuniani (TNO) sono come capsule del tempo, custodi di informazioni preziose sull'evoluzione del nostro vicinato cosmico. Nonostante i nostri telescopi scrutino galassie primordiali a miliardi di anni luce di distanza, questo "cortile di casa" cosmico potrebbe ancora celare sorprese di proporzioni planetarie, forse un intero mondo massiccio che attende di essere svelato.
La ricerca di nuovi pianeti ha sempre esercitato un fascino irresistibile sull'umanità, una tradizione che risale a secoli fa e che oggi si rinnova con l'intrigante ipotesi del Pianeta Nove. Questa caccia non è semplicemente la ricerca di un ulteriore corpo celeste da aggiungere all'inventario del Sistema Solare; è, in un certo senso, una sonda lanciata nelle dinamiche caotiche e formative del nostro Sistema Solare primordiale. I TNO, con le loro orbite talvolta bizzarre, sono testimoni di un passato turbolento. Le anomalie nelle loro traiettorie suggeriscono perturbazioni gravitazionali, passate o presenti, che potrebbero essere state causate da un grande pianeta errante, forse espulso dalle regioni interne durante le migrazioni dei giganti gassosi, o addirittura catturato da un altro sistema stellare. Comprendere queste anomalie e la loro potenziale causa ci permette di ricostruire una storia più completa e dinamica della nascita e dell'evoluzione del nostro sistema planetario. L'eventuale esistenza di un Pianeta Nove, o anche solo la sua persistente ricerca, mette in discussione la nostra percezione di "completezza" del Sistema Solare. Per lungo tempo, specialmente dopo la scoperta di Nettuno, si è ritenuto che la mappa del nostro sistema fosse sostanzialmente definita. L'ipotesi di un altro pianeta massiccio suggerisce invece che componenti significativi e influenti potrebbero essere ancora nascosti nelle tenebre, costringendoci a riconsiderare e affinare i nostri modelli di formazione ed evoluzione planetaria.
Una storia di fantasmi gravitazionali
Nel 2016, uno studio relativo ad anomalie gravitazionali scoperte all'interno di un gruppo di TNO avvia una ricerca ancora in atto
La saga del Pianeta Nove inizia con l'osservazione di comportamenti anomali in un particolare gruppo di oggetti situati oltre Nettuno, noti come Oggetti Transnettuniani Estremi (ETNO). Questi corpi celesti, caratterizzati da orbite che li portano a distanze immense dal Sole, mostrano un sorprendente e inspiegabile raggruppamento (clustering) di alcuni dei loro parametri orbitali. In particolare, gli argomenti del perielio e le inclinazioni orbitali di questi ETNO tendono ad allinearsi in modo non casuale. Fu proprio questo "inaspettato confinamento orbitale" a suggerire per la prima volta la presenza di un grande perturbatore invisibile, un "fantasma gravitazionale" che orchestrava da lontano la danza di questi piccoli mondi ghiacciati.
Nel 2016, gli astronomi Konstantin Batygin e Michael Brown del California Institute of Technology proposero un'ipotesi audace per spiegare queste stranezze: l'esistenza di un nono pianeta, grande e distante, nel nostro Sistema Solare. Secondo le loro stime iniziali, questo "Pianeta Nove" avrebbe dovuto possedere una massa circa dieci volte quella della Terra (M⊕), successivamente (2019) rivista e affinata a un intervallo compreso tra 5 e 10 M⊕. La sua orbita sarebbe altamente ellittica, con un'eccentricità stimata tra 0.2 e 0.5, e notevolmente inclinata rispetto al piano orbitale degli altri pianeti. Il semiasse maggiore fu inizialmente collocato tra 400 e 800 Unità Astronomiche, per poi essere raffinato in studi successivi a circa 380 (−80 +140) UA.
Ma come potrebbe un singolo pianeta spiegare un tale raggruppamento? Batygin e Brown, attraverso complesse simulazioni numeriche, dimostrarono che la presenza di un Pianeta Nove con le caratteristiche ipotizzate potrebbe effettivamente mantenere dinamicamente questo allineamento orbitale degli ETNO nel corso di miliardi di anni. Le simulazioni hanno mostrato che un Pianeta Nove con una massa compresa tra 5 e 10 M⊕ tende a produrre una popolazione di TNO distanti raggruppati apsidalmente, in accordo con le osservazioni. Inoltre, l'introduzione di Pianeta Nove nei modelli dinamici è in grado di spiegare orbite particolarmente estreme, come quella dell'oggetto 2015 BP519, che altrimenti rimarrebbero enigmatiche.
Diagramma delle orbite di 96 dei 109 pianeti minori distanti e degli ETNO, noti a gennaio 2021. Il punto più lontano dal Sole di ciascuno di essi è superiore a 200 UA. Le orbite in rosso sono ETNO allineati con l'ipotetico Pianeta Nove; quelle in blu sono anti-allineate. Le tre orbite rosa sono Sedna e due oggetti simili. Le orbite colorate di marrone sono oggetti che si avvicinano al Sole più dell'orbita di Nettuno. L'orbita prevista del Pianeta Nove è in giallo. Crediti: Nrco0e/Wikimedia Commons
L'ipotesi del Pianeta Nove non si limita a spiegare il solo clustering degli ETNO. Essa offre una potenziale soluzione anche per altre caratteristiche anomale del Sistema Solare esterno. Ad esempio, potrebbe rendere conto dell'esistenza di oggetti con orbite quasi perpendicolari al piano dell'eclittica e della presenza di una popolazione "liscia" di oggetti il cui perielio si estende ben all'interno dell'orbita di Nettuno, fino a raggiungere quella di Urano e persino oltre.
Questo aspetto è cruciale: l'ipotesi di Pianeta Nove non è una spiegazione ad hoc costruita per un singolo fenomeno isolato, ma si propone come un modello unificante, capace di ricondurre diverse osservazioni anomale a un'unica causa gravitazionale. Senza Pianeta Nove, ciascuna di queste peculiarità richiederebbe una spiegazione individuale, rendendo il quadro generale meno coerente ed elegante.
Le caratteristiche stimate per Pianeta Nove – una massa da "super-Terra" o "mini-Nettuno" e un'orbita così vasta e inclinata – sollevano interrogativi profondi sulla sua origine e sulla storia dinamica del nostro Sistema Solare. È improbabile che un pianeta di tali dimensioni si sia formato in situ a distanze così remote, dove la densità del disco protoplanetario primordiale sarebbe stata troppo bassa. Ciò ha portato alla formulazione di scenari alternativi per la sua genesi: potrebbe essere un "figlio espulso" del Sistema Solare interno, scagliato verso le periferie da violente interazioni gravitazionali con i giganti gassosi (Giove, Saturno, Urano o Nettuno) durante le prime, caotiche fasi di formazione del sistema. Oppure, potrebbe essere un pianeta "orfano" catturato dal nostro Sole mentre vagava nello spazio interstellare, o ancora un corpo formatosi a grandi distanze e successivamente perturbato nel suo attuale percorso eccentrico dal passaggio ravvicinato di un'altra stella. Ciascuna di queste possibilità dipinge un quadro del Sistema Solare primitivo ben più dinamico e interattivo di quanto si pensasse in precedenza.
Una storia già vista con Nettuno
Il pianeta più distante, attualmente, del Sistema Solare venne trovato in un modo analogo a quanto stiamo rivivendo con questa ricerca
Nella ricerca di Pianeta Nove, basata su indizi gravitazionali indiretti, riecheggia una delle più grandi imprese nella storia dell'astronomia: la scoperta di Nettuno. Nel XIX secolo, gli astronomi si trovarono di fronte a un enigma: Urano, il settimo pianeta, scoperto da William Herschel nel 1781, non seguiva pedissequamente il percorso previsto dalle leggi di Newton sulla gravitazione universale. Le discrepanze tra la sua posizione osservata e quella calcolata, tenendo conto dell'attrazione di tutti i pianeti allora conosciuti, erano piccole ma significative, e crescevano con il passare degli anni, lasciando perplessa la comunità scientifica.
La soluzione a questo mistero rappresentò un trionfo dell'intelletto umano e del potere predittivo della fisica. Due matematici, l'inglese John Couch Adams e il francese Urbain Le Verrier, lavorando indipendentemente e ignari l'uno del lavoro dell'altro, giunsero alla stessa conclusione: le anomalie nell'orbita di Urano dovevano essere causate dalla perturbazione gravitazionale di un pianeta ancora sconosciuto, situato oltre Urano stesso. Entrambi, armati solo di carta, penna e delle leggi della meccanica celeste, calcolarono la massa e la possibile posizione di questo ipotetico ottavo pianeta.
Fu sulla base dei calcoli di Le Verrier che l'astronomo tedesco Johann Gottfried Galle, presso l'Osservatorio di Berlino, puntò il suo telescopio verso la regione di cielo indicata. Nella notte tra il 23 e il 24 settembre 1846, Galle e il suo assistente Heinrich d'Arrest identificarono un oggetto che non era segnato sulle carte celesti e che, osservazione dopo osservazione, mostrava il caratteristico disco planetario e un leggero movimento rispetto alle stelle fisse. Nettuno era stato scoperto, a meno di un grado dalla posizione prevista da Le Verrier.
L'ipotesi di Pianeta Nove si fonda sullo stesso principio, sulla stessa fiducia nella capacità della gravità di rivelare ciò che si nasconde nelle profondità dello spazio.
Un dettaglio affascinante della storia di Nettuno è che, a posteriori, si scoprì che diversi astronomi, incluso Galileo Galilei nel 1612 e 1613, lo avevano già osservato, scambiandolo però per una semplice stella fissa a causa del suo lentissimo moto apparente nel cielo.
Nettuno disegnato da Galileo nel 1612. Public Domain
Questo fatto sottolinea una sfida cruciale anche nella moderna caccia ai pianeti: la semplice registrazione di un puntino luminoso in un'immagine telescopica non è sufficiente. È necessaria l'interpretazione corretta dei dati, spesso guidata da un'ipotesi teorica o da osservazioni ripetute nel tempo per discernere un movimento proprio rispetto allo sfondo stellare. Pianeta Nove, se esiste, potrebbe essere stato catturato innumerevoli volte nelle immagini di vaste सर्वे celesti, ma la sua estrema debolezza e il suo lentissimo spostamento lo renderebbero indistinguibile da una miriade di stelle lontane, a meno che non si sappia esattamente cosa e come cercare. La storia di Nettuno ci insegna che a volte i pianeti si nascondono in piena vista.
Come può essere invisibile se c'è?
Una domanda che nasce spontanea: guardiamo galassie primordiali e non riusciamo a vedere un pianeta gigante nel cortile di casa?
Abbiamo visto come, senza ipotizzarne l'esistenza, sarebbe estremamente difficile soffermarsi su Pianeta Nove distinguendolo da una stella qualsiasi. La domanda,ora, quindi è un'altra: se Pianeta Nove esiste ed è potenzialmente grande quanto un mini-Nettuno, perché, visto che ora lo stiamo cercando, non lo abbiamo ancora trovato? La risposta risiede in una combinazione di fattori che rendono la sua individuazione un'impresa estremamente ardua, una sorta di "nascondino cosmico" su scala interplanetaria.
La sfida principale è rappresentata dalla sua immensa distanza e dalla conseguente oscurità. Un oggetto situato a centinaia di Unità Astronomiche dal Sole riceve una quantità infinitesima di luce solare. La luce che riesce a raggiungere Pianeta Nove e a essere riflessa verso la Terra è incredibilmente debole.
Si stima che la luce solare che incide su Pianeta Nove sia circa 300.000 volte più debole di quella che raggiunge la Terra. Di conseguenza, la sua magnitudine apparente nel visibile sarebbe molto elevata, rendendolo un puntino estremamente fioco, difficile da distinguere dal rumore di fondo anche per i telescopi più potenti.
Tuttavia, c'è un altro modo in cui un pianeta può brillare: attraverso la sua emissione termica intrinseca. I pianeti giganti, come Giove o Nettuno, e potenzialmente anche una super-Terra massiccia come Pianeta Nove, conservano calore dalla loro formazione o lo generano attraverso processi interni (come la contrazione gravitazionale o il decadimento radioattivo nel nucleo). Questa energia viene irradiata nello spazio sotto forma di radiazione infrarossa. A differenza della luce riflessa, la cui intensità diminuisce rapidamente con la distanza dal Sole, la luminosità intrinseca di un pianeta dipende principalmente dalla sua temperatura interna e diminuisce solo con il quadrato della sua distanza dall'osservatore.
Un altro ostacolo formidabile è la vastità dell'area di cielo da perlustrare. Anche se i modelli teorici forniscono un'orbita approssimativa per Pianeta Nove, la sua posizione esatta lungo tale orbita in un dato momento è sconosciuta. Il cielo è immenso, e cercare un singolo, debole puntino luminoso in movimento è come cercare il proverbiale ago in un pagliaio cosmico. A ciò si aggiunge il suo lentissimo moto apparente contro lo sfondo delle stelle fisse, che richiede osservazioni ripetute a distanza di tempo per essere confermato.
Spesso ci si chiede come sia possibile che riusciamo a fotografare galassie primordiali situate a miliardi di anni luce di distanza, eppure fatichiamo a trovare un pianeta relativamente vicino, all'interno del nostro stesso Sistema Solare. Questo apparente paradosso si spiega considerando le diverse natura degli oggetti e le tecniche di rilevamento. Le galassie, sebbene estremamente distanti, sono intrinsecamente immense e luminose, emettendo la luce combinata di miliardi di stelle. La loro dimensione angolare apparente nel cielo, ovvero quanto spazio sembrano occupare, può essere sorprendentemente grande, talvolta superiore a quella di un pianeta del nostro Sistema Solare visto da Terra. Ad esempio, la galassia di Andromeda o la galassia M81 hanno dimensioni angolari misurabili in decine di minuti d'arco, mentre Giove, il pianeta più grande del nostro sistema, appare al massimo con un diametro di circa 50 secondi d'arco. Un Pianeta Nove a 700 UA apparirebbe come un puntino infinitesimale. Inoltre, le tecniche utilizzate per scoprire gli esopianeti, come il metodo dei transiti o il metodo delle velocità radiali, non sono direttamente applicabili o sono estremamente inefficaci per un oggetto isolato e così distante dal Sole come Pianeta Nove. La sua ricerca si basa principalmente sull'imaging diretto (cercare la sua debole luce) o sul rilevamento del suo moto proprio.
La caccia a Pianeta Nove impiega una varietà di strumenti e strategie. Telescopi ottici terrestri di grande diametro, come il telescopio Subaru alle Hawaii, sono stati utilizzati per scandagliare porzioni di cielo alla ricerca della sua debole luce riflessa. Parallelamente, le survey celesti condotte nell'infrarosso da satelliti come WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer), IRAS (Infrared Astronomical Satellite) e AKARI hanno il potenziale di rilevare la sua emissione termica. La speranza maggiore è riposta in futuri osservatori come il Vera C. Rubin Observatory, progettato per mappare ripetutamente l'intero cielo australe con una profondità e una velocità senza precedenti.
La difficoltà nel trovare Pianeta Nove mette in luce una sorta di "punto cieco" nelle nostre capacità osservative: oggetti che sono relativamente grandi (di dimensioni planetarie) ma estremamente freddi, distanti e isolati all'interno del nostro stesso Sistema Solare. Le survey per esopianeti sono ottimizzate per rilevare gli effetti che questi esercitano sulle loro stelle ospiti, mentre le survey per oggetti del cielo profondo come galassie e quasar cercano sorgenti intrinsecamente luminose o estese. Pianeta Nove non rientra facilmente in nessuna di queste categorie. La scelta della lunghezza d'onda osservativa è quindi cruciale: se è dominato dalla luce solare riflessa, l'ottico è la via, ma la sua debolezza (magnitudine visuale stimata tra 22 e 24) è estrema. Se, come suggeriscono i modelli, possiede una significativa emissione termica interna, allora l'infrarosso (magnitudine Q stimata tra 10 e 14 per masse diverse) diventa più promettente. Strategie recenti, come quella di confrontare survey a infrarossi distanziate nel tempo, si basano proprio su questa aspettativa.
Infine, concetti come il "moto proprio" e la "parallasse" sono fondamentali. Qualsiasi oggetto all'interno del Sistema Solare, per quanto distante, mostrerà un leggero spostamento apparente rispetto alle stelle di sfondo molto più lontane. Questo spostamento è dovuto in parte al suo stesso moto orbitale attorno al Sole (moto proprio) e in parte al moto orbitale della Terra attorno al Sole, che cambia il nostro punto di vista (parallasse). Rilevare questo minuscolo movimento, spesso dell'ordine di pochi secondi o minuti d'arco all'anno, è la chiave per distinguere un vero membro del Sistema Solare da una miriade di sorgenti fisse o artefatti strumentali. Senza questa firma dinamica, Pianeta Nove rimarrebbe irrimediabilmente perso nel vasto oceano di stelle.
Un nuovo pianeta o un miraggio statistico?
Non ci sono certezze: a fronte di chi cerca incessantemente il pianeta convinto dell'esistenza, c'è chi sostiene teorie alternative
Nonostante l'eleganza dell'ipotesi di Batygin e Brown e i parallelismi storici con la scoperta di Nettuno, la comunità scientifica non è unanime nell'accettare l'esistenza del Pianeta Nove. Un filone di scetticismo, robusto e ben argomentato, suggerisce che il caratteristico raggruppamento (clustering) delle orbite degli Oggetti Transnettuniani Estremi (ETNO), che costituisce la prova principale a sostegno del pianeta, potrebbe non essere una reale caratteristica fisica del Sistema Solare esterno, bensì un artefatto dovuto a bias osservativi.
Problemi di bias
I critici sottolineano che le survey astronomiche utilizzate per scoprire questi ETNO non coprono l'intero cielo con la stessa uniformità e profondità. Alcune regioni del cielo potrebbero essere state osservate più intensamente o con strumenti più sensibili di altre. Inoltre, la scoperta di oggetti così deboli e distanti è intrinsecamente difficile e potrebbe essere influenzata da fattori come le condizioni meteorologiche, la disponibilità di tempo-telescopio in specifici osservatori (che hanno una limitata copertura del cielo a seconda della loro latitudine) e persino gli algoritmi utilizzati per identificare i candidati nelle vaste moli di dati. Di conseguenza, è possibile che gli ETNO finora scoperti rappresentino solo una frazione selezionata di una popolazione in realtà distribuita in modo più casuale, e che il loro apparente allineamento sia semplicemente il risultato di dove e come abbiamo guardato. Ad esempio, uno studio basato sui dati dell'Outer Solar System Origins Survey (OSSOS) non ha trovato prove conclusive di un clustering angolare significativo, pur non potendo escludere del tutto l'esistenza di Pianeta Nove. Samantha Lawler, un'astronoma che ha condotto studi indipendenti, ha affermato che i dati disponibili per gli oggetti più estremi sono compatibili con una distribuzione casuale e che, a suo parere, non vi è un reale clustering.
Un altro punto cruciale nel dibattito è la significatività statistica delle osservazioni. Il numero di ETNO con orbite ben determinate e che mostrano il presunto clustering è ancora relativamente piccolo, dell'ordine di poche decine. Con campioni di dati così limitati, è notoriamente difficile trarre conclusioni statisticamente inattaccabili. Fluttuazioni casuali possono apparire come pattern significativi quando si ha a che fare con numeri piccoli. I sostenitori dell'ipotesi di Pianeta Nove ribattono che la probabilità che l'allineamento osservato sia puramente casuale è estremamente bassa, ma gli scettici controbattono che i bias osservativi non sono stati ancora pienamente quantificati e potrebbero spiegare gran parte, se non tutto, l'effetto.
Teorie alternative
Oltre alla critica dei bias osservativi, sono state proposte anche alcune teorie alternative per spiegare il comportamento peculiare degli ETNO, che non richiedono necessariamente l'esistenza di un singolo pianeta massiccio e distante. Una delle più radicali è la MOND (Modified Newtonian Dynamics), un'ipotesi che suggerisce che la legge di gravitazione di Newton debba essere modificata a bassissime accelerazioni, come quelle che si sperimentano nelle periferie delle galassie o, potenzialmente, nelle remote regioni del Sistema Solare. Sebbene la MOND abbia avuto un certo successo nello spiegare le curve di rotazione delle galassie senza ricorrere alla materia oscura, la sua applicazione al Sistema Solare è più controversa e meno supportata. Un'altra possibilità è che gli effetti gravitazionali osservati non siano dovuti a un singolo grande pianeta, ma all'influenza collettiva di un disco esterno molto più massiccio di quanto si pensi, composto da innumerevoli oggetti più piccoli. Infine, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che potrebbero esistere configurazioni planetarie alternative, come la presenza di più pianeti di massa inferiore o complesse interazioni risonanti tra gli oggetti della Fascia di Kuiper e i pianeti giganti noti.
Il dibattito sui bias osservativi è intrinsecamente legato ai limiti della nostra attuale tecnologia e delle strategie di osservazione. I telescopi hanno campi visivi finiti, e il tempo di osservazione è una risorsa preziosa. Molte survey sono ottimizzate per scopi specifici, come la ricerca di supernove o lo studio di galassie distanti, e potrebbero non essere ideali per scovare oggetti deboli, freddi e in lento movimento come gli ETNO. Finché non disporremo di survey più complete, profonde e omogenee dell'intero cielo, come quelle che si spera di ottenere con il Vera C. Rubin Observatory, il sospetto che i bias osservativi possano giocare un ruolo significativo rimarrà una critica valida e difficile da confutare in modo definitivo.
In questo contesto, il principio del "rasoio di Occam" – che favorisce la spiegazione più semplice tra quelle in grado di rendere conto dei fatti – gioca un ruolo interessante. L'ipotesi di Pianeta Nove è, per certi versi, elegante: un singolo nuovo corpo celeste che spiega elegantemente una serie di anomalie orbitali. Tuttavia, se il clustering degli ETNO si rivelasse un miraggio statistico, un artefatto dei nostri metodi di osservazione, allora la necessità di un Pianeta Nove verrebbe meno, e una distribuzione casuale degli oggetti (o spiegazioni meno "ingombranti") diventerebbe la soluzione preferibile. Ciò evidenzia come la validità di un'ipotesi scientifica dipenda criticamente dalla solidità e dall'affidabilità dei dati osservativi che si prefigge di spiegare. La controversia attorno a Pianeta Nove è un esempio lampante del processo scientifico all'opera, dove le idee vengono costantemente messe alla prova, dibattute e raffinate alla luce di nuove prove e analisi critiche.
Recenti indizi della possibile presenza
Il 2025 ha portato a maggiori indizi e al delineamento di una zona di maggior probabilità per la ricerca del pianeta
Negli ultimi anni, la caccia a Pianeta Nove si è arricchita di nuovi approcci e, potenzialmente, di nuovi indizi. Una delle strategie più promettenti per scovare oggetti deboli e in lento movimento nelle periferie del Sistema Solare consiste nel confrontare i dati di survey celesti condotte a distanza di molti anni. Questo metodo sfrutta il fatto che un oggetto del Sistema Solare, per quanto lontano, si muoverà leggermente rispetto alle stelle di sfondo nel corso del tempo.
Recentemente, un team di ricercatori guidato dall'astronomo Terry Long Phan della National Tsing Hua University di Taiwan ha utilizzato proprio questa tecnica, analizzando i dati di due importanti survey a infrarossi: IRAS (Infrared Astronomical Satellite), che ha mappato il cielo nel 1983, e AKARI, un satellite giapponese più sensibile lanciato nel 2006, i cui dati principali sono stati raccolti tra il 2006 e il 2007. Il lasso di tempo di circa 23 anni tra le due survey è sufficiente per rilevare il lento moto orbitale di un potenziale Pianeta Nove, stimato in circa 3 minuti d'arco all'anno. La metodologia consiste nel cercare una sorgente luminosa rilevata da IRAS che non sia più presente nella stessa posizione nelle immagini di AKARI, e, viceversa, una sorgente in AKARI (nella posizione prevista in cui l'oggetto si sarebbe dovuto spostare) che non fosse visibile nelle immagini di IRAS in quella stessa posizione 23 anni prima. Dopo un'attenta analisi e l'eliminazione di stelle, galassie e artefatti, il team di Phan ha identificato un "buon candidato". Questo oggetto appare come un puntino con colori e luminosità compatibili nelle due epoche, suggerendo che si tratti dello stesso corpo celeste osservato in due momenti diversi della sua orbita. Le stime preliminari indicano che questo candidato potrebbe essere persino più massiccio di Nettuno e trovarsi a una distanza di circa 700 UA dal Sole. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che si tratta di un candidato e non di una scoperta confermata. Sono necessarie osservazioni di follow-up con telescopi potenti per confermarne l'esistenza, determinarne con precisione l'orbita e le caratteristiche fisiche.
Confronto tra la posizione dell'oggetto candidato nei dati IRAS (a sinistra) e nei dati AKARI (a destra) e la distanza in arcominuti tra di essi. (Credito immagine: Phan et al (2025))
È interessante notare come questo nuovo candidato, se la sua esistenza venisse confermata, potrebbe non coincidere con il Pianeta Nove originariamente ipotizzato da Batygin e Brown. Potrebbe avere una massa o un'orbita differente, tale da non spiegare il clustering degli ETNO nello stesso modo, o potrebbe addirittura rendere instabile l'orbita del Pianeta Nove "classico" se entrambi i corpi coesistessero nel Sistema Solare esterno. Mike Brown stesso ha commentato che, sulla base delle informazioni preliminari, questo candidato non sembrerebbe avere gli effetti dinamici sul Sistema Solare che lui e Batygin avevano previsto per il loro Pianeta Nove. Ciò apre scenari intriganti: potrebbe esistere un altro tipo di pianeta sconosciuto, o forse il Sistema Solare esterno è popolato da più di un corpo planetario significativo ancora da scoprire.
Parallelamente all'ipotesi di Batygin e Brown e alla ricerca di candidati come quello di Phan et al., sono emerse altre teorie sulla possibile presenza di pianeti sconosciuti nelle regioni esterne. Un esempio notevole è il "Kuiper Belt Planet" (KBP), proposto nel 2023 dagli astronomi Patryk Sofia Lykawka e Takashi Ito. Secondo i loro modelli e simulazioni, un pianeta con una massa compresa tra 1,5 e 3 volte quella della Terra, situato a una distanza tra 200 e 500 UA dal Sole e con un'orbita inclinata di circa 30 gradi rispetto al piano dell'eclittica, potrebbe spiegare diverse caratteristiche osservate nella popolazione di oggetti della Fascia di Kuiper. In particolare, il KBP potrebbe rendere conto dell'esistenza di TNO "distaccati" (con perieli molto distanti, oltre le 40 UA, che li mantengono al di fuori della forte influenza gravitazionale di Nettuno), di TNO con alte inclinazioni orbitali (superiori a 45 gradi) e di alcune peculiarità degli ETNO come Sedna. È importante sottolineare che l'ipotesi KBP è distinta da quella del Pianeta Nove di Batygin e Brown: il KBP sarebbe meno massiccio, più vicino e la sua esistenza non è stata postulata primariamente per spiegare il clustering apsidale degli ETNO, bensì una gamma più ampia di strutture orbitali nella Fascia di Kuiper.
Per chiarire le differenze tra queste principali ipotesi, si presenta la seguente tabella comparativa:
Caratteristica | Pianeta Nove (Batygin & Brown) | Kuiper Belt Planet (KBP) (Lykawka & Ito) | Candidato di Phan et al. (IRAS/AKARI) |
---|---|---|---|
Proponenti Principali | K. Batygin, M. Brown | P. S. Lykawka, T. Ito | T. L. Phan et al. |
Base dell'Ipotesi (fenomeno primario spiegato) | Clustering orbitale (apsidale e inclinazione) di ETNOs | Struttura orbitale della Fascia di Kuiper (TNO distaccati, alta inclinazione, ETNO) | Movimento rilevato tra survey IRAS e AKARI |
Massa Stimata ($M_\oplus$) | 5 - 10⊕ | 1.5 - 3 ⊕ | > Massa di Nettuno (~17⊕) |
Semiasse Maggiore Stimato (UA) | Inizialmente 400-800, poi ~380 UA | 200 - 500 UA | ~700 UA (posizione attuale stimata) |
Eccentricità Stimata | 0.2 - 0.5 | Non specificata nel dettaglio, ma orbita probabilmente eccentrica | Orbita completa non ancora determinata |
Inclinazione Orbitale Stimata | ~15-25 gradi (rispetto all'eclittica) | ~30 gradi | Orbita completa non ancora determinata, possibile alta inclinazione |
Principali Prove a Sostegno/Indizi | Simulazioni dinamiche che riproducono il clustering | Simulazioni che spiegano varie popolazioni di TNO | Corrispondenza di sorgente tra IRAS e AKARI con movimento compatibile |
Principali Sfide/Incertezze/Critiche | Bias osservativi, significatività statistica del clustering | Ipotesi recente, richiede ulteriori test e osservazioni dirette | Candidato singolo, necessita conferma e determinazione orbitale |
La metodologia di confronto tra survey distanziate nel tempo, come quella impiegata per il candidato IRAS/AKARI, rappresenta una tecnica potente e sempre più accessibile per "setacciare" il cielo alla ricerca di oggetti lenti e deboli. Questa strategia, affinata nella caccia a Pianeta Nove, potrebbe essere riutilizzata o adattata per future ricerche di altri tipi di corpi celesti elusivi, come TNO rari, comete interstellari o persino pianeti nani ancora sconosciuti.
Infine, la reazione della comunità scientifica, incluso Mike Brown, al candidato di Phan et al. – con l'apertura a considerare che possa trattarsi di un pianeta diverso e persino incompatibile con l'originale Pianeta Nove – è una dimostrazione eloquente del processo scientifico all'opera. Le ipotesi vengono costantemente testate e confrontate con nuove prove, e la scienza progredisce proprio attraverso questa disponibilità a rimettere in discussione le proprie idee, seguendo le evidenze ovunque esse portino, anche se ciò significa rivedere paradigmi consolidati o ammettere che la realtà è più complessa di quanto inizialmente ipotizzato.
La voglia di conoscere definitivamente il Sistema Solare
La ricerca continua e difficilmente si vedrà la fine celermente: si ricerca la definizione di Sistema Solare
Lo stato attuale della ricerca di Pianeta Nove, e più in generale di pianeti sconosciuti nelle regioni esterne del nostro Sistema Solare, è un affascinante miscuglio di indizi intriganti, acceso dibattito scientifico e la promessa di nuove, potenziali scoperte. Siamo testimoni di un'impresa scientifica in pieno svolgimento, dove ogni nuova osservazione, ogni nuova analisi e ogni nuova ipotesi contribuiscono a tessere una trama sempre più complessa e dettagliata della nostra comprensione del cosmo vicino.
Indipendentemente dall'esito finale – che sia la conferma trionfale dell'esistenza di un Pianeta Nove come quello ipotizzato da Batygin e Brown, la scoperta di un tipo di pianeta completamente diverso, o persino la conclusione che le anomalie osservate abbiano un'altra spiegazione – la ricerca stessa ha un valore immenso. Essa stimola lo sviluppo di nuove tecniche osservative, affina la nostra capacità di analizzare enormi moli di dati, ci costringe a confrontarci con i limiti e i bias dei nostri strumenti e metodi, e approfondisce la nostra conoscenza delle popolazioni di piccoli corpi che abitano la Fascia di Kuiper e oltre. Ogni passo in questa direzione, anche un "fallimento" nel trovare ciò che si cercava, arricchisce la nostra comprensione della formazione, dell'evoluzione e dell'attuale architettura del Sistema Solare.
Uno sguardo al futuro è carico di aspettative. Osservatori di nuova generazione, come il Vera C. Rubin Observatory in Cile, sono destinati a rivoluzionare la nostra capacità di scandagliare il cielo. Con la sua enorme camera digitale e la sua strategia di osservazione rapida e ripetuta di vaste aree celesti, il Rubin Observatory promette di scoprire milioni di nuovi oggetti nel Sistema Solare, dai piccoli asteroidi vicini alla Terra fino, si spera, ai deboli e lenti abitanti delle regioni più remote. Molti astronomi ritengono che se un Pianeta Nove con le caratteristiche ipotizzate esiste, il Rubin Observatory avrà ottime possibilità di individuarlo entro pochi anni dalla sua piena entrata in funzione.
La ricerca di Pianeta Nove è un brillante esempio di "scienza guidata dalla curiosità". Nata dal tentativo di spiegare alcune anomalie orbitali apparentemente minori, si è trasformata in un vasto campo di indagine che tocca questioni fondamentali sulla storia del nostro sistema planetario. Anche se l'obiettivo primario non venisse raggiunto, i benefici collaterali sono già tangibili: una migliore mappatura della Fascia di Kuiper, la scoperta di nuovi e interessanti TNO, e un generale affinamento dei modelli dinamici del Sistema Solare.
Paradossalmente, anche un "fallimento" definitivo nel trovare un Pianeta Nove in grado di spiegare le anomalie degli ETNO potrebbe rivelarsi altrettanto significativo della sua scoperta. Se osservazioni future estremamente complete escludessero la presenza di un tale pianeta, gli scienziati sarebbero costretti a rivolgere la loro attenzione con maggiore urgenza verso spiegazioni alternative. Queste potrebbero includere modelli più complessi dell'evoluzione del disco di TNO, effetti combinati di molti corpi più piccoli non ancora considerati, o, in uno scenario più radicale e meno probabile per le scale del Sistema Solare, una riconsiderazione di teorie gravitazionali alternative come MOND , qualora tutte le spiegazioni convenzionali si rivelassero inadeguate. Un "risultato nullo" forte, basato su dati inoppugnabili, può essere altrettanto potente di una scoperta positiva nel guidare il progresso scientifico.
In definitiva, la caccia a Pianeta Nove ci ricorda che il nostro Sistema Solare, pur essendo la nostra casa cosmica, la regione di universo che conosciamo meglio, conserva ancora profondi segreti e vaste frontiere inesplorate. La spinta a esplorare, a interrogarsi, a cercare l'ignoto è una caratteristica fondamentale dell'impresa scientifica e, più in generale, dello spirito umano. E in questa continua ricerca per mappare i confini del nostro mondo, risiede la promessa di future, entusiasmanti scoperte.
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